Friday, October 10, 2014

T H E THIRD ASSOCIATION


La zavorra che ancora ci porteremo dietro è quella di Mike D’Antoni. Non è ancora licenziabile per un anno, perché se lo cacciassimo adesso, coi due milioni di dollari rimasti firmeremmo coach con tutte “F”, e dunque ci tocca tenerlo; a parte questo, per il resto il Barba è soddisfatto. Il materiale a disposizione era poco perché la free agency 2014 non aveva nessuno che ti potesse far svoltare l’Asso per essere subito competitivi in ottica anello, solo tanti ottimi giocatori per formare un’impalcatura solida: tanti Robert Horry, ma nessun Shaq, per farla breve. Inoltre c’è sempre quel contratto assurdo di Bryant con il quale fare i conti.
In dote noi avevamo l’ottava scelta assoluta e Pau Gasol come merce di scambio. Insomma, c’era margine per costruire the basement. Col baratto ad esempio prendiamo dai Golden State Warriors Harrison Barnes e dai free agent firmiamo Loul Deng, li mettiamo in quintetto e scombineremo le carte, ogni partita, in ogni quarto: chi giocherà ala piccola e ala pivot tra i due? Noi lo sappiamo, gli avversari no. La nostra ottava pick overall la usiamo per arrivare al play panchinaro dei Celtics, Avery Bradley Jr., difensore che non solo va a ricoprire la classica prima barriera barbatrucchica, ma che andrà a rimediare anche alle lasciate difensive di Bryant. Ci manca l’ultimo tassello del quintetto, lo otteniamo via Gasol, e così arriva il famoso lungo dell’Est Europa di cui tanto si parlava, ha le fattezze di Valanciunas, secondo lituano nella storia dei barbalakers dopo l’indimenticato “Z”.
Non riusciamo a portare a L.A. Gorgui Dieng, ma tra i free agent c’è il ruvido che fa per noi nella posizione di pivot panchinaro, il già fu barbalaker ‘Birdman’ Andersen, e anche qui tra le seconde linee di esperimenti se ne possono fare, perché dai F.A. arrivano anche Boris Diaw e naturalmente il barbapretoriano Papanikolaou, e così vedremo coppie di lunghi panchinare di diverso impatto: quella più solida (Diaw-Birdman), quella che apre gli spazi (Papanikolaou-Diaw), o entrambe le cose (Papa-Birdman). Oppure Diaw che se ne va in quintetto a fianco di Valanciunas, o il lituano che fa il numero quattro al fianco di Birdman, con uno tra Deng e Harrison Barnes che esce from the bench.
Dagli agenti liberi puntiamo le nostre fiches anche su Glen Rice Jr. come pura guardia tiratrice, che se solo ha preso un decimo di suo padre, ci va bene. Non siamo da anello, massimo da Western Conference Semifinals, ma abbiamo fatto spese a relativo basso prezzo, salvando our money per arrivare poi alla superstella o due che ci faranno fare il salto definitivo l'anno prossimo. Mettete anche solo un LeBron o un George dentro questa impalcatura qui, e ci siamo!
Bradley, Bryant, Harrison Barnes, Loul Deng, Valanciunas come quintetto e De Colo, Rice Jr., Wesley Johnson, Nick Young, Papanikolaou, Diaw, Birdman Andersen, Ryan Kelly in panchina.
Creazione di un gruppo in marcia verso una missione. E’ questo l’obiettivo della stagione 2014-15. Si parte da San Francisco, contro i Golden State Warriors. Contro Iguodala e Bogut.

Wednesday, September 24, 2014

L'Editoriale di Alp


"Un disastro annunciato. Pensavamo tutti questo alla vigilia di gara 7 e così è stato per questi BarbaLakers. Una squadra incapace di fronteggiare le novità, rigida e statica, basata su un mix di campioni vecchi e promesse che hanno disatteso le aspettative. Tutti colpevoli, sia chiaro, ma è bene fare un distinguo perché non tutto è da buttare.
Il primo colpevole è il plenipotenziario Coach Barba. Particolare e vincente, su questo non c'è dubbio, ma anche troppo radicato nel suo credo cestistico, incapace di adattarsi ai 2k-world che cambiano ed agli avversari che diventano via via sempre più imprevedibili. Dove sono gli aggiustamenti nella serie? Dove si trova il boost dell'umano? Come si fa a puntare su un backcourt con Kobe ormai trentanovenne e Deron Williams in fase calante? Il primo responsabile è lui, ma non basta riconoscere le proprie colpe ma anche capire che è arrivato il momento di cambiare: o impara a capire che ci sono altri modi di vedere il 2k-basket oppure gli insuccessi sono destinati a crescere a dismisura!
Kobe, in quanto capitano e leggenda è, ahinoi, il secondo colpevole. È troppo forte affinché il colpevole numero uno capisca che non può più condurre questa squadra al titolo e non fa niente per aiutare il suo coach. Le sue prestazioni sono sempre più leggendarie, ma anche sempre più fini a loro stesse perché qua non si vede il becco di un titolo da un po'. Dovrebbe essere il valore aggiunto della squadra, invece è sempre il top player e questo non va bene. La colpa è sicuramente di chi gli dà certe responsabilità, ma anche sua perché incapace di fare un passo indietro.
Deron Williams. Arrivato come il pezzo mancante si è rivelato per quel che è veramente. Un mezzo-campione ormai fisicamente decadente ed incapace di guidare una squadra al titolo. È stato surclassato da Holiday ed ha dimostrato tutti i suoi limiti. Bocciato senza alcun diritto d'appello.
Iguodala. Era arrivato come ipotetico secondo violino, non è stato in grado di fare neanche il terzo. Ad essere sinceri è tutta l'orchestra ad aver deluso, ma la sua mancanza di leadership e freddezza mentale sono costati un titolo e non pochi patemi. Ci si aspettava tanto da lui, ha fatto lo stesso percorso di Odom ma senza i due anelli. Quando però la barca iniziò ad affondare, Odom andò via...
La panchina. Coach Barba si è sempre vantato di avere la miglior panca della lega. Ma quest'anno dov'era? Impegnata forse a far credere di esser grande, perché quando serviva il cambio di passo o l'impatto solito è svanita completamente. Tutti, nessuno escluso, hanno deluso e questo è l'unico dato di fatto. Servirà una profonda riflessione sul reale valore dei giocatori.
Un quadro desolante dunque, però non tutto è perduto: lavoro, capacità di fare scelte coraggiose, umiltà e ritrovata voglia di vincere sono gli ingredienti necessari per permettere a questa squadra di tornare dove la storia la colloca. Ci sarà la forza di mettersi in gioco?"


------------------------------------------

® All rights reserverd - El Segundo Times

Tuesday, September 23, 2014

Western Conference Semifinals, game 7: LA Lakers - New Orleans Pelicans



La sede dell’El Segundo Times è in fermento, dai finestroni della redazione volano fuochi d’artificio d’ogni tipo, lo champagne scorre a fiumi: si sta preparando uno speciale di 432 pagine sulla garasette che ha visto i Pelicans dominare a Los Angeles come mai visto fare in una game seven: 82 Lakers, 93 Nola, punteggio bugiardissimo, perché già dal secondo quarto ci hanno sbattuto più volte anche sotto di 19. Lakers fuori, eliminati 3-4 dopo essere stati in vantaggio 3-1. E’ il fallimento di questo gruppo.
Per “questo gruppo” qui si intendono soprattutto due giocatori, Andrè Iguodala e Andrew Bogut, i due All Star arrivati alla fine della prima stagione e che non hanno mai fatto fare il salto di qualità. Quello, e pertando il CoachZen lo esclude dal libro nero, ce lo fece fare Kenneth Faried, peraltro non esente da colpe: ma l’arrivo di Mamimal nell’estate 2015 fu l’innesco che proiettò i barbalakers fino all’ormai celebre “a cinque minuti dall’anello”, ovvero l’esito di garasette delle Finals 2016 perse contro gli Indiana Pacers.
Ma l’essere stati quasi campioni Nba due anni fa non salva nessuno, perché sull’altro piatto della bilancia pesano due mancate qualificazioni ai playoff (2014 e, clamorosa quella del 2017), un’eliminazione al primo turno (2015) e un’eliminazione al secondo turno (2018). E al di là degli Iguodala, Bogut o Deron Williams di turno, al di là dei trentanove anni di Bryant, il 99,99999% delle colpe sono del Barbatrucco, incapace di mettere su un gruppo vincente e con la vecchiaia che si fa sentire anche su di lui: se il giovane Barba impressionò (subito 4 titoli nei primi 5 anni di carriera), se il middle-Barba mantenne lo standard di un titolo ogni due anni (13 anelli nelle prime 26 stagioni), il vecchio Barba ha vinto soltanto quattro titoli negli ultimi 16 campionati, e solo uno negli ultimi nove, ovvero le season complessive al 2K14 (4 anni la prima Asso, 5 la seconda).
Se ci fosse un grafico sarebbe una linea in picchiata. Per questo l’El Segundo Times ne chiede la decapitazione su Figueroa Street, con la testa del Coach Zen portata sul cofano della macchina del Duca (cit). End nau?
Le voci si rincorrono incontrollate. Posto che questa seconda Asso è conclusa, ora si aprono più vie davanti al Coach Zen. Il ritiro, ovvero un anno sabbatico per ricaricare completamente le pile e ripresentarsi tra dodici mesi nel 2K16 next gen. Due settimane di pausa, ovvero  l’approdo classico all’universo successivo (2K15 old gen), o l’inizio della terza Asso nel 2K14. Dove? In tutti e tre i casi non si transige: Lakers. Fino a che ci sarà Bryant!
Nel caso di probabile approdo al 2K15, singolare come l'ultima stagione prima del salto nel nuovo universo sia coincisa con la vendetta delle eliminate storiche: nell'ultima stagione del 2K13 furono i San Antonio Spurs ad eliminarci per la prima volta nella barbastoria dopo decenni nei quali i gialloviola li avevano fatti sempre fuori nei 2Kplayoff. Idem quest'anno è accaduto con New Orleans, sempre eliminata in passato dai barbalakers. Ma l'avevano detto gli analist: il Barba, quando si avvicina il salto in un nuovo universo, non mantiene alta la concentrazione. A febbraio il CoachZen una garasette non l'avrebbe mai persa così.

Thursday, September 18, 2014

Western Conference Semifinals, game 1-4: LA Lakers - New Orleans Pelicans


SEGNAAAAAAA!!!!!! SEGNAA!!!!!AA!!!!! SEGNAAA!!!!AAAAA!!!!!!! PELICANS 105, LAKERS 106!!! BRYANT DA TRE ALO SCADERE DI TEMPOOOOOO!!!! Well amici sportivi, Kobe ha inventato canestro dela domenica qui oooouuuukey!?!?!?!?!?!? Poteva esere 2-2 e invece è 3-1 Lakers con un piede e mezo in Finale di Conference!!!!!!!!!

Il rocambolesco buzzer beater del Ventiquattro stravolge tutto, anche la cronaca di queste prime quattro partite di Western Conference Semifinals contro New Orleans, perché saremmo dovuti partire da garauno, ma come si fa a non iniziare dal canestro più incredibile di questi playoff!?!? E dagli ultimi istanti di una garaquattro dove se ne sono viste di ogni. Sorpassi e risorpassi continui, mezze risse da nervosismo, spintoni. Sul 103-103 a 16” dalla fine abbiamo l’ultima azione, palla a Bryant che palleggia in attesa di scagliare il dardo dell’ultimo secondo. Quando di secondi ne mancano 8, il Mamba chiama il blocco del droide Smith, eseguito, poi fischio dell’arbitro. Fallo sul Mamba che se ne va via in palleggio. Nou invece! Blocco illegale! Palla ai Pelicans!!!
Rimessa, vanno dal droide Huffman che ce ne ha sparati 16 nel secondo tempo, si gira di scatto per il tiro, fallo di Kobe a 2” dalla fine, due liberi NOLA! Huffman li segna entrambi e i Pelicans si trovano a +2 a -2”.2 con un quasi certo 2-2 in mano. Troppi due nella stessa frase? No problem, perché il +2 del 2-2 a -2”.2 con l’invenzione di Kobe diventa un 1-3 a 0”.0, una colata di gelo su tutto il pubblico dello Smoothie King Center.
Sì, perchè sia quando erano gli Hornets di Chris Paul, sia adesso che sono i Pelicans di Anthony Davis, da queste parti sono ormai 2Kdecenni che la strada di New Orleans verso la consacrazione è sbarrata dai barbalakers. La serie non è ancora finita, perchè già un paio di volte i barbalakers sono stati avanti 1-3 nella serie e poi sono stati eliminati alla settima, ma per NOLA avere un quasi certo 2-2 in mano e poi essere scaraventata sotto 1-3 con un tiro del genere sulla sirena è una roba che rimarrà a lungo nelle menti dei tifosi 'louisiani'.
Anche perché con il ritorno di Davis dall’infortunio i Pelicans ci avevano letteralmente distrutto in garatre, un devastante 124-109 con 22 punti, 9/11 al tiro, 15 rimbalzi e 2 stoppate del Monociglio, che aveva anche messo a posto tutta la difesa di Nola. Lo stesso livello di distruzione che avevamo inflitto noi ai Pelicans nelle prime due partite allo Staples Center (81-63 in game one e 102-88 nella seconda!), quando però New Orleans era priva della sua stella.
Ma la serie, dopo il ritorno di Davis e dopo il dominio dei Pelicans in game three, sembrava già destinata a capovolgersi rispetto all’iniziale 2-0 Lakers. Il 2-2 era fatto e con esso tutto si sarebbe riaperto. Ma quando in campo c’è il Mamba non bisogna mai dare nulla per scontato.

Thursday, September 11, 2014

First Round, game 3-6: LA Lakers - Utah Jazz



La fibrillazione è tale a Salt Lake City che i bar hanno preso a chiudere alle 20 invece del consueto orario delle 18, e servono peccaminosi chinotti di contrabbando invece del canonico Estathè alla pesca. Ne hanno ben donde. I Jazz sono avanti 2-0 nella serie, un vantaggio pesante, tutto preso allo Staples Center, e c’è aria di impresa. Le noste quotazioni, invece, sono pari a quelle di vedere Paolo Meneguzzi vincere un Grammy. Ma non si sa mai.
La storia che la pressione ora è dalla loro è una roba che non ho mai capito. E’ ancora tutta nostra la pressione, altrochè! C’abbiamo un King Kong sulle spalle, se usciamo è un fallimento secondo solo a Max e Tux. Per questo garatre all’Energy Solutions Arena per noi rappresenta una roba paragonabile soltanto ai rigori di una finale di Coppa del Mondo, perché se finiamo sotto 0-3 per noi è finita, ci attraccano ad una dragamine di Santamonica e mettono in pilota automatico in direzione Alaska.
Il palas è una bolgia di maglie bianche, sembra la spuma di un’onda gigantesca pronta a travolgerci. Solo che noi di gelarci il culo ad Ankorage non ne abbiamo voglia mezza, e poi oh, il Barba è sempre il Barba; 41 2Kstagioni e 17 titoli Nba d’esperienza non si comprano al Tutto un Euro e di Kobe Bryant ne nasce uno ogni trent’anni. Già, perchè il nostro, con 39 primavere che gli premono sulle spalle, gioca una partita alla Jordan, da gara che gli viene a sé, in totale mind control di ogni azione, dove vede tutto al rallentatore con un secondo di anticipo rispetto agli altri. Il Black Mamba domina in maniera eterea, al di là delle cifre comunque sontuose che parlano di 32 punti, 6 rimbalzi, 5 assist e 11/19 al tiro. Repeat, a 39 anni. A darci la spinta decisiva per il 94-109 finale è anche il rientro dall’infortunio di Iguodala, rimesso in piedi a tempo di record da mago Gary Vitty: non è un caso se il Barba, come prima operazione di un’Asso, ancor prima del mercato, lo conferma sempre con un contratto di sei anni. Iggy ne posta 16 e ci permette di rifortificare la panchina, dove ci torna Michael Kidd-Gilchrist, quintettato proprio per l’assenza dell’ex Sixers.
Ma siamo sempre sotto 1-2, una sconfitta in garaquattro ci farebbe risprofondare nuovamente al punto di partenza e sappiamo già che il Ventiquattro non ripeterà le gesta di garatre: 39 anni non si sentono nella gara singola, ma in quelle ravvicinate e sono sempre più freuquenti, year by year, le pause del Mamba nelle gare di playoff. E infatti Kobe è cancellato a soli 14 punti. Il problema per un’attonita Energy Solutions Arena arriva da altre parti, dall’incredibile prova del duo Deron Williams – Iguodala. Iggy alla sua seconda partita dopo il rientro dall’infortunio esplode un qualcosa come 38 punti, ma D-Will, grande ex della sfida, fa una roba persino superiore: 9 punti, 19 assist, 7 recuperi! E’ vero che questi ultimi quasi si annullano con le 6 palle perse, ma 19 assist (in 29 minuti!) in una partita di playoff un Laker da quanto tempo non lo faceva? Non ho voglia di controllare, ma a naso mi sa che si deve risalire a un tal Magic Johnson... Il gioco è semplice: assist di Williams, jumpshot implacabile di Iggy: 38 punti su 19 assist.
La clamorosa prova dei due ci consente di espugnare Utah per la seconda volta di fila, 96-105, e tra tutti gli addetti ai lavori si fa strada l’idea che il ritorno di Iguodala abbia riportato i Lakers ai livelli della regular season. Così per gara cinque allo Staples Center abbiamo la gobba dei Jazz lì sotto di noi, pronta ad essere infilzata dagli spiedoni del torero. Il loro sogno è già finito.
Sì, col cazzo! Ci dominano. Per la quinta volta su cinque in questa serie salta il fattore campo: Burke e Burks, i Burk Brother, ne mettono 27 e 26 a testa, il droide Hickson costringe Kobe ad un’altra partita anonima (16 con 7/17) eppure è proprio il Mamba a riportarci a -1 a 50” dalla fine con una tripla insensata da nove metri e mezzo, l’unica della sua partita. Ma di là Burks replica con quindici mani in faccia e due su per il naso e firma il 100-105 che consegna ai Jazz il primo dei due match point. In casa.
Torniamo dunque nella terra dei Mormons, troviamo i bar aperti anche alle 20:30. Brutto segno. Si sono lasciati sfuggire garatre e garaquattro, ma non faranno lo stesso con la sesta partita, quella che li porta alle Western Conference Semifinals.
Giocano una partita da dominatori, ci tengono sotto, vanno a più riprese a +12, con un picco massimo di +15 nel secondo quarto, con i soliti canovacci: Alec Burks immarcabile, con il plus di canestri allo scadere dei 24”, marcatissimo, da nove metri, a sbrogliare le poche situazioni ingarbugliate dei Jazz, della serie se mette pure questi andiamo a casa. Hickson in versione Rodman su Bryant che si mette anche a segnare in attacco. Kanter che sembra Olajuwon (24 punti e 9 rimbalzi alla fine), Derrick Favors che sorvola Faried. Per giunta noi scontiamo psicologicamente la sconfitta casalinga in gara cinque con una stanchezza-zavorra che ci azzera le barre già a fine primo quarto. E’ finita.
Abbiamo un sussulto, perché poi alla fine Kobe non ci sta e decide di rimetterla in piedi lui, ma a tre minuti dalla fine il solito Burks, devastante, piazza la bomba che ci ricaccia a -9. Game Over. Bryant ci riprova, con tutte le ultime energie che ha, dribble into the lane and score! Oh, vuoi vedere che… Ma i Jazz hanno tutte le palle che mettono il chiodo nella bara. Burks, ancora lui, shot, D-Will lo stoppa, recupera e lancia Iggy. Oh… Altra azione, Hickson per mandarci a casa, arriva ancora la stoppata di Williams! E Kobe segna, e poi ancora! 57” second left, i Jazz circolano la palla alla grande, smarcano Burks, non va, Bryant recupera, entra, foul, and he scooooore! Jazz 100, Lakers 103! Energy Solutions Arena ghiacciata! Ma Utah non si fa spaventare, un’altra azione magistrale, la palla arriva sotto a Kanter, -1 e poi difesa clamorosa a recuperar palla. Dieci secondi alla fine, Jazz sotto di uno e palla in mano. Se segnano passano il turno. Se la giocano. Steve Kerr dalla panchina ordina lo schema che ci manda a casa at the buzzer, la smarcatura è perfetta, da manuale, blocchi e contro blocchi per smarcare Burks a cinque metri lato a canestro. Il tiro è solo una formalità senza nessuno davanti. Davanti no, ma dietro sì.
D-Will aggira il blocco, si allunga in recupero, riesce a mettere una mano mentre Burks ha la palla sopra la testa e arriva un’altra stoppata, da dietro, con recupero annesso del nostro droide Smith e fallo sistematico dei Jazz a 3 decimi di secondo dalla fine!
Puoi sbagliarmeli tutti e due droide, tre decimi di secondo non sono comunque sufficienti per consentire a Utah un tiro dell’Ave Maria. E’ già finita così, è 3-3! Sono sudato come un porco. Smith, segnandone 1/2, fissa il risultato sul 103-105, con 38 clamorosi punti del 39enne Bryant e Deron Williams che nell’ultimo minuto e mezzo ti piazza tutte le tre stoppate della sua partita, con l’ultima, se dovessimo passare il turno, che rimarrà la foto di questa serie. Si va a garasette. A casa nostra. Ma il fattore campo è saltato sei volte su sei. 


Saturday, September 6, 2014

First Round, game 2: LA Lakers - Utah Jazz



0-2. Utah espugna ancora lo Staples Center e quella che sembrava un’impresa fine a sé stessa, ovvero il sacco di garauno, si trasforma in qualcosa di ben più sostanzioso. Sì, perché coach Steve Kerr sta facendo giocare i Jazz in una maniera eccezionale: difesa, continui ribaltamenti di palla dal lato forte al lato debole, penetra e scarica, smarcature impeccabili. Kerr sta applicando un passing game che è quasi la fotocopia del barbatrucchico tira chi è libero e come il Coach Zen non applica mai il pick ‘n roll: mai ci era capitato di giocare contro noi stessi e mai abbiamo vinto quest’anno contro noi stessi. Con Utah, compresa la gara di regular season, fanno tre sconfitte su tre.
Garadue ha quasi lo stesso canovaccio della prima partita, eccezion fatta per le percentuali di tiro dei Jazz che naturalmente non si sono ripetute. A dominare questa volta è il droide Hickson, guardia dal tiro lentissimo, a catapulta: ne mette 23 ma soprattutto cancella Bryant con una difesa durissima, mandandolo fuori giri nell’ultimo quarto, dove più volte abbiamo l’attacco per impattare finendo per schiantarci contro il muro saltlakecitico. Venti a testa ne mettono anche i “Burk Brothers”, i quasi omonimi Burke e Burks, mentre dentro l’area Derrick Favors e Kanter sembrano Zaza e Immobile, un’intesa perfetta: uno taglia fuori, l’altro vola a rimbalzo e viceversa: Faried, ma soprattutto Bogut, sono presi in questa tela di ragno e non riescono ad incidere. 0-2 tutto allo Staples Center e ora la serie si sposta all’Energy Solutions Arena di Salt Lake City. La città è già in pieno delirio! Questi Jazz possono andare molto molto lontano.

Monday, September 1, 2014

ALL IN A GAME


Starting from the end. L’importanza del gruppo, frase senza contorni definiti, perchè cosa determina alla fine un gruppo? Per me questo: giocatori che quest’anno avevano passato 28 partite in tribuna e nonostante questo non solo hanno mantenuto inalterato il loro stato d’animo, sempre positivo, ma si sono fatti trovare pronti quando cause di forza maggiore hanno costretto il Coach Zen a rimetterli in campo. 
Cominciamo dalla fine, dall’ultima di regular season, dallo Smoothie King Center di New Orleans, dove va in scena uno spareggio come non si vedeva da un pezzo, tra due squadre con lo stesso record, 19-9. Chi vince tra i Pelicans di Anthony Davis e i Lakers di Kobe Bryant si piazza secondo a Ovest, alle spalle degli inarrivabili Oklahoma City Thunder che hanno chiuso con sole 6 sconfitte nonostante un mese e mezzo passato senza Durant, stirato ai legamenti, ma già rientrato.
Un infortunio importante colpisce anche noi, proprio alla vigilia della sfida decisiva contro i Pellicani: Igoudala fa crack in allenamento e starà fuori dalle 2 alle 4 settimane. Smoccolo in filippino. I Barbalakers sono da ridisegnare, in quintetto entra Michael Kidd-Gilchrist e tra i dodici rientrano due giocatori che hanno giocato zero minuti quest’anno: Gerald Henderson e Nikola Mirotic. Saranno determinanti, in particolar modo il montenegrino, autore di un grande secondo tempo.
E poi c’è il droide Chris Smith, centro anche lui, e si sa che per convincere il Coach Zen a far giocare una ferraglia ce ne vuole: un mini Rodman, s’infila ovunque, cattura rimbalzi determinanti, segna appoggi chiave. Anthony Davis, messo fuori partita dalla difesa di Faried e da due falli nei primi due minuti di gioco che gli hanno fatto perdere il ritmo, è stranito. A parte una clamorosa schiacciata saltando quasi dalla linea di tiro libero, The Monocigl ha chiuso con soli 11 punti nella sconfitta dei suoi al supplementare per 108 a 118. La spuntiamo con la miglior partita dell’anno di MKG, 19 punti e tutti canestri chiave, e col solito Bryant, 29 punti ma soprattutto 8 assist che hanno reso il tira chi è libero un’autentica sinfonia!

Partiamo dal fondo perché è questa la notizia, ma ci sarebbe dell’altro prima. Ci sono i Chicago Bulls della triade Derrick Rose, Lamarcus Aldridge, Joakim Noah (e mettiamoci pure Jimmy Butler) che ci hanno demolito tenendoci costantemente sotto i 10-15 punti di svantaggio dal primo all’ultimo minuto, nonostante un clamoroso Bryant da 26 punti nel secondo tempo (42 totali con 7/11 da tre). Rimediamo con due vittorie consecutive contro Orlando e con un potente +30 a Milwaukee (Bryant 37…), lasciamo i due punti il giorno dopo contro i sorprendenti Raptors (secondi a Est, ce ne rifilano 18) e prima della sfida decisiva contro i Pelicans rodiamo i motori mettendo al palo Atlanta in casa loro e San Antonio in casa nostra. Poi il capolavoro in Louisiana.
Chiudiamo la regular season con 20-9, che poi sarebbero 20 vittorie nelle ultime 26 dall’arrivo di Thibodeau al timone. Durant è l’Mvp stagionale e gli Oklahoma City Thunder i netti favoriti per l’anello: hanno dominato la regular season, 23 vittorie su 29 e sono i vicecampioni in carica. E sappiamo che in quest’Asso chi perde in Finale, come OCK nel 2017 contro Miami, poi vince l’anno dopo. Soltanto a noi, finalisti nel 2016 e neanche qualificati ai playoff del 2017, non è successo... A propisito di noi, ce la vedremo con un primo turno classico nei barbamondi, quello contro gli Utah Jazz. Cosa più importante però è esserci messi nella parte opposta del tabellone rispetto a OKC: se li incontreremo, sarà solo in Finale di Conference. Ci siamo. Tra pochi giorni inizieranno gli ultimi playoff del 14. Sarà una guerra.