La fibrillazione è tale a Salt Lake City che i bar hanno
preso a chiudere alle 20 invece del consueto orario delle 18, e servono
peccaminosi chinotti di contrabbando invece del canonico Estathè alla pesca. Ne
hanno ben donde. I Jazz sono avanti 2-0 nella serie, un vantaggio pesante, tutto
preso allo Staples Center, e c’è aria di impresa. Le noste quotazioni, invece,
sono pari a quelle di vedere Paolo Meneguzzi vincere un Grammy. Ma non si sa
mai.
La storia che la pressione ora è dalla loro è una roba
che non ho mai capito. E’ ancora tutta nostra la pressione, altrochè! C’abbiamo
un King Kong sulle spalle, se usciamo è un fallimento secondo solo a Max e Tux.
Per questo garatre all’Energy Solutions Arena per noi rappresenta una roba
paragonabile soltanto ai rigori di una finale di Coppa del Mondo, perché se
finiamo sotto 0-3 per noi è finita, ci attraccano ad una dragamine di
Santamonica e mettono in pilota automatico in direzione Alaska.
Il palas è una bolgia di maglie bianche, sembra la spuma
di un’onda gigantesca pronta a travolgerci. Solo che noi di gelarci il culo ad
Ankorage non ne abbiamo voglia mezza, e poi oh, il Barba è sempre il Barba; 41
2Kstagioni e 17 titoli Nba d’esperienza non si comprano al Tutto un Euro e di
Kobe Bryant ne nasce uno ogni trent’anni. Già, perchè il nostro, con 39 primavere
che gli premono sulle spalle, gioca una partita alla Jordan, da gara che gli
viene a sé, in totale mind control di ogni azione, dove vede tutto al
rallentatore con un secondo di anticipo rispetto agli altri. Il Black Mamba
domina in maniera eterea, al di là delle cifre comunque sontuose che parlano di
32 punti, 6 rimbalzi, 5 assist e 11/19 al tiro. Repeat, a 39 anni. A darci la
spinta decisiva per il 94-109 finale è anche il rientro dall’infortunio di
Iguodala, rimesso in piedi a tempo di record da mago Gary Vitty: non è un caso
se il Barba, come prima operazione di un’Asso, ancor prima del mercato, lo
conferma sempre con un contratto di sei anni. Iggy ne posta 16 e ci permette di
rifortificare la panchina, dove ci torna Michael Kidd-Gilchrist, quintettato
proprio per l’assenza dell’ex Sixers.
Ma siamo sempre sotto 1-2, una sconfitta in garaquattro
ci farebbe risprofondare nuovamente al punto di partenza e sappiamo già che il
Ventiquattro non ripeterà le gesta di garatre: 39 anni non si sentono nella
gara singola, ma in quelle ravvicinate e sono sempre più freuquenti, year by
year, le pause del Mamba nelle gare di playoff. E infatti Kobe è cancellato a
soli 14 punti. Il problema per un’attonita Energy Solutions Arena arriva da
altre parti, dall’incredibile prova del duo Deron Williams – Iguodala. Iggy
alla sua seconda partita dopo il rientro dall’infortunio esplode un qualcosa
come 38 punti, ma D-Will, grande ex della sfida, fa una roba persino superiore:
9 punti, 19 assist, 7 recuperi! E’ vero che questi ultimi quasi si annullano
con le 6 palle perse, ma 19 assist (in 29 minuti!) in una partita di playoff un Laker da quanto tempo
non lo faceva? Non ho voglia di controllare, ma a naso mi sa che si deve risalire a un tal Magic
Johnson... Il gioco è semplice: assist di Williams, jumpshot implacabile di Iggy: 38 punti su 19 assist.
La clamorosa prova dei due ci consente di espugnare Utah
per la seconda volta di fila, 96-105, e tra tutti gli addetti ai lavori si fa
strada l’idea che il ritorno di Iguodala abbia riportato i Lakers ai livelli
della regular season. Così per gara cinque allo Staples Center abbiamo la gobba
dei Jazz lì sotto di noi, pronta ad essere infilzata dagli spiedoni del torero.
Il loro sogno è già finito.
Sì, col cazzo! Ci dominano. Per la quinta volta su cinque
in questa serie salta il fattore campo: Burke e Burks, i Burk Brother, ne
mettono 27 e 26 a testa, il droide Hickson costringe Kobe ad un’altra partita
anonima (16 con 7/17) eppure è proprio il Mamba a riportarci a -1 a 50” dalla
fine con una tripla insensata da nove metri e mezzo, l’unica della sua partita.
Ma di là Burks replica con quindici mani in faccia e due su per il naso e firma
il 100-105 che consegna ai Jazz il primo dei due match point. In casa.
Torniamo dunque nella terra dei Mormons, troviamo i bar
aperti anche alle 20:30. Brutto segno. Si sono lasciati sfuggire garatre e
garaquattro, ma non faranno lo stesso con la sesta partita, quella che li porta
alle Western Conference Semifinals.
Giocano una partita da dominatori, ci tengono sotto,
vanno a più riprese a +12, con un picco massimo di +15 nel secondo quarto, con
i soliti canovacci: Alec Burks immarcabile, con il plus di canestri allo
scadere dei 24”, marcatissimo, da nove metri, a sbrogliare le poche situazioni
ingarbugliate dei Jazz, della serie se mette pure questi andiamo a casa.
Hickson in versione Rodman su Bryant che si mette anche a segnare in attacco.
Kanter che sembra Olajuwon (24 punti e 9 rimbalzi alla fine), Derrick Favors
che sorvola Faried. Per giunta noi scontiamo psicologicamente la sconfitta
casalinga in gara cinque con una stanchezza-zavorra che ci azzera le barre già
a fine primo quarto. E’ finita.
Abbiamo un sussulto, perché poi alla fine Kobe non ci sta
e decide di rimetterla in piedi lui, ma a tre minuti dalla fine il solito
Burks, devastante, piazza la bomba che ci ricaccia a -9. Game Over. Bryant ci
riprova, con tutte le ultime energie che ha, dribble into the lane and score!
Oh, vuoi vedere che… Ma i Jazz hanno tutte le palle che mettono il chiodo nella
bara. Burks, ancora lui, shot, D-Will lo stoppa, recupera e lancia Iggy. Oh…
Altra azione, Hickson per mandarci a casa, arriva ancora la stoppata di
Williams! E Kobe segna, e poi ancora! 57” second left, i Jazz circolano la
palla alla grande, smarcano Burks, non va, Bryant recupera, entra, foul, and he
scooooore! Jazz 100, Lakers 103! Energy Solutions Arena ghiacciata! Ma Utah non
si fa spaventare, un’altra azione magistrale, la palla arriva sotto a Kanter,
-1 e poi difesa clamorosa a recuperar palla. Dieci secondi alla fine, Jazz
sotto di uno e palla in mano. Se segnano passano il turno. Se la giocano. Steve
Kerr dalla panchina ordina lo schema che ci manda a casa at the buzzer, la
smarcatura è perfetta, da manuale, blocchi e contro blocchi per smarcare Burks
a cinque metri lato a canestro. Il tiro è solo una formalità senza nessuno
davanti. Davanti no, ma dietro sì.
D-Will aggira il blocco, si allunga in recupero, riesce a
mettere una mano mentre Burks ha la palla sopra la testa e arriva un’altra
stoppata, da dietro, con recupero annesso del nostro droide Smith e fallo
sistematico dei Jazz a 3 decimi di secondo dalla fine!
Puoi sbagliarmeli tutti e due droide, tre decimi di
secondo non sono comunque sufficienti per consentire a Utah un tiro dell’Ave
Maria. E’ già finita così, è 3-3! Sono sudato come un porco. Smith, segnandone 1/2,
fissa il risultato sul 103-105, con 38 clamorosi punti del 39enne Bryant e
Deron Williams che nell’ultimo minuto e mezzo ti piazza tutte le tre stoppate
della sua partita, con l’ultima, se dovessimo passare il turno, che rimarrà la
foto di questa serie. Si va a garasette. A casa nostra. Ma il fattore campo è
saltato sei volte su sei.